Vincoli e opportunità nei sistemi di certificazione nel settore dell’agroalimentare: questo il tema del seminario organizzato dalla società Civita in collaborazione con il dipartimento Agricoltura, Alimentazione e Ambiente dell’università di Catania, nell’ambito del Piano Formativo settoriale multiregionale Icaro, (innovare le competenze nell’agroalimentare, riqualificando l’occupazione) che ha coinvolto 65 imprese aderenti a Fondimpresa, il fondo interprofessionale per la formazione continua di Confindustria, Cgil, Cisl e Uil. Aziende di Basilicata, Lazio, Molise, Piemonte, Puglia e Sicilia, che operano nella filiera dell’agroalimentare, uno dei settori più rappresentativi del Made in Italy, non solo per il fascino da sempre esercitato a livello internazionale dal cibo italiano, ma anche per l’importanza economica del comparto, costituendo il 61,54% del totale, suddiviso nei settori: 13,85% agricoltura, 13,85% pesca, acquacoltura, 7,69% vitivinicoltura, altro 3,08%.
All’incontro hanno partecipato il direttore del Dipartimento Agricoltura Alimentazione e Ambiente, Agatino Russo, Santi Finocchiaro, vice presidente di Confindustria Catania, Rosaria Leonardi, della segreteria generale Cgil di Catania, Giuseppe Occhipinti, presidente dei Dottori Agronomi e Forestali etnei e Massimo Parisi, vice presidente dell’Ordine dei Tecnologi Alimentari di Sicilia e Sardegna.
Ha introdotto i lavori Biagio Pecorino, docente di economia Di3A “L’università non si occupa solo di formazione curriculare ma accompagna nel percorso di aggiornamento e rinnovamento delle competenze dei lavoratori per aumentarne la competitività, sia le imprese che i soggetti che gestiscono i fondi per la formazione”.
L’obiettivo del piano Icaro, con 2061 ore di formazione, 66 tipologie di azioni formative e 80 edizioni formative, è quello di contribuire alla crescita delle aziende del settore agroalimentare in un contesto in cui la formazione dei dipendenti è sempre più indispensabile da una parte per lo sviluppo delle imprese e la valorizzazione del capitale umano dall’altra per la tutela dell’occupazione. Un percorso che assume maggiore valenza quando si parla di certificazione della qualità, definita come “grado in cui un insieme di caratteristiche intrinseche soddisfa i requisiti” ed implica la conformità ad uno standard. Un’azienda può, attraverso i diversi schemi di certificazione, mirare a valorizzare: la cultura, l’organizzazione, l’attenzione all’ambiente, la tipicità sia dei prodotti che delle attività connesse.
Standard e schemi di certificazione più diffusi nel comparto agroalimentare e agricolo sono: agricoltura biologica, indicazioni e denominazioni protette (Denominazioni di Origine Protette (DOP); Indicazioni Geografiche Protette (IGP); Specialità Tradizionali Garantite (STG), rintracciabilità, prodotto.
Nel settore agroalimentare si assiste allo sviluppo parallelo di norme cogenti, che stabiliscono le basi di garanzia collettiva e controlli pubblici (es. Reg. 852/2004) e norme volontarie, regolamenti standard privati che definiscono metodi, standard aggiuntivi di garanzia, certificazioni (es. ISO 9001:2015). “Quando ci si trova ad elencare i numerosi adempimenti di cui devono farsi carico le aziende agricole – ha spiegato Biagio Falico, docente Di3A – un punto certo è che qualsiasi metodo di produzione esse adottino, di tipo volontario oppure no, qualsiasi operazione colturale eseguano, sono obbligate alla tenuta di un registro (o quaderno di campagna) dove puntualmente prendere nota delle attività colturali svolte e dei prodotti acquistati ed utilizzati sulle colture”.
“Un ibrido è rappresentato dalle produzioni regolamentate dop, igp, stg, perché hanno un accesso volontario – la tecnologa Rosa Sgarlata di Check Fruit, uno degli Organismi leader in Italia nel settore della certificazione e ispezione nel comparto agroalimentare – ma poi sottostanno a certificazione e controllo ufficiale in conformità ai requisiti del disciplinare di produzione”.
In Italia le produzioni Dop-IGP sono 822 (299 FOOD 523 WINE); Francia 685 (249 FOOD 436 WINE); Spagna 329 (197 FOOD 132 WINE); Grecia 254 (107 FOOD 147 WINE); Portogallo 179 (139 FOOD 140 WINE); Germania 130 (90 FOOD 40 WINE); Regno Unito 77 (71 FOOD 6 WINE).
Rosy D’Ali di Civita ha illustrato il percorso di validazione e certificazione delle competenze nei Piani Formativi Fondimpresa, che finanzia la formazione dei lavoratori, promuove la cultura dell’apprendimento permanente come strumento essenziale per l’innovazione, lo sviluppo, la tutela dell’occupazione e la valorizzazione del capitale umano. “L’apprendimento permanente e la formazione degli adulti – ha sottolineato – oggi, sono principi ispiratori dei processi di riforma e degli indirizzi politici definiti a livello europeo e nazionale, costituendo una prospettiva culturale innovativa fondata”. In Italia, il processo è stato avviato con la L. 92 del 2012 e portato avanti con il D.M. 30.06.2015 (GURI 20.07.2015), fatto proprio da Fondimpresa che ha sollecitato i soggetti promotori e attuatori dei Piani formativi a impegnarsi a realizzare azioni formative che prevedano il rilascio di «dispositivi di certificazione delle competenze.
Giacomo Gagliano di ICQRF (istituto centrale repressioni frodi), ha spiegato come l’ente preveda tra i suoi compiti a livello nazionale, la prevenzione e repressione delle frodi nel commercio dei prodotti agroalimentari e dei mezzi tecnici di produzione per l’agricoltura in tutte le fasi della filiera; la vigilanza sulle produzioni di qualità registrata (DOP, IGP, Bio); il contrasto dell’irregolare commercializzazione dei prodotti agroalimentari introdotti da Stati membri o Paesi terzi e i fenomeni fraudolenti che generano situazioni di concorrenza sleale tra gli operatori e sanzioni per il corretto funzionamento degli accordi interprofessionali. “Nel 2018 – ha detto –sono sono stati effettuati 54.098 controlli, gli operatori controlli son stati 25.390, quelli irregolari ammontano al 20,3% mentre dei 52.982 prodotto controllati quelli irregolari sono risultati il 12,4%.”.